Ambiente  |  ottobre 1, 2022

La crisi climatica e il dissesto idrogeologico

Eventi drammatici come l'ultima alluvione delle Marche non sono più eccezioni e si ripeteranno sempre di più. Bisognerà conviverci. E adottare decisioni conseguenti. A partire dalla tutela del territorio: è necessario creare casse di espansione per i fiumi, ripristinare le sistemazioni idraulico agrarie a partire dagli ambienti montani e collinari, fermare la corsa al consumo di suolo e alla sua cementificazione

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Esempio di terreno eroso dopo esondazione di un fosso

Sono ancora negli occhi di tutti le drammatiche immagini dell’alluvione, causata dallo straripamento del fiume Misa, nelle Marche il 15 settembre scorso con l’impressionante tributo di vite umane. Sono caduti 420 mm di pioggia in 7 ore, equivalenti a 420 milioni di litri di acqua per km2, certamente una enormità mai vista o quasi. Si è sottolineato il dato impressionante del fiume Misa che si alza di 5 metri in una ora e mezza. Fra i vari commenti è stato anche sottolineato che i laghetti collinari, realizzati negli anni ’60, ’70 poi abbandonati, avrebbero certamente contribuito a ridurre la turbolenza delle acque così come i mini invasi diffusi e le zone di espansione, da tempo programmate ma mai realizzate.

Altri commenti hanno cercato di evidenziare l’eccezionalità di questo evento estremo. Purtroppo, questa affermazione è forviante perché siamo nel bel mezzo di una crisi climatica per cui questi eventi estremi non saranno un’eccezione ma si ripeteranno con una drammatica continuità, difficili da prevedere perché di volta in volta si verificano in aree relativamente ristrette.

Anche la definizione di “dissesto idrogeologico” non è del tutto corretta perché, nella maggioranza di questi disastri è lo strato superficiale del suolo che viene eroso dall’acqua: si dovrebbe quindi parlare di “dissesto idropedologico”, infatti il fango che ha invaso le città delle Marche era il suolo superficiale.

L’azione scellerata dell’uomo

Pochi commenti, a mio avviso, hanno sottolineato che questi disastri sono in gran parte riconducibili all’azione scellerata dell’uomo e in particolare l’urbanizzazione selvaggia che, tuttora, consuma suolo al ritmo di oltre 2 metri quadrati al secondo! È evidente che se il suolo è reso impermeabile dal cemento o asfalto non lascia infiltrare l’acqua che, quindi, scorre in superficie aumentando il suo moto turbolento. Già occorre prendere atto, consapevolmente, che quando si verificano questi nubifragi l’acqua per il 90% non si infiltra neppure nel terreno naturale, forestale o agricolo, anche se questo è un mezzo poroso ma i pori sono piccoli e non riescono a ricevere questa enorme quantità d’acqua, inoltre l’impatto violento della pioggia distrugge gli aggregati superficiali del suolo e le particelle disperse finiscono per occludere i pori così che la superficie viene in pratica sigillata e da qui il ruscellamento turbolento dell’acqua e gli allagamenti disastrosi.

Cosa occorre fare

 Esempio di erosione dopo un nubifragio

E allora, visto che questa sarà la regola con cui bisogna convivere e non l’eccezione, cosa fare?

Intanto prendere effettivamente atto di questa situazione in cui è assolutamente improcrastinabile stoccare una buona parte dell’acqua in eccesso, che poi tornerà utile nei periodi di siccità, attraverso la realizzazione di serbatoi e invasi artificiali seguendo una programmazione a livello nazionale. Inoltre, è l’ora di mettere in atto quella messa in sicurezza del territorio di cui tanto si parla ma al momento non si intravedono programmi effettivi su larga scala. Occorre iniziare da una manutenzione importante dei corsi d’acqua e dei fiumi a carattere torrentizio con la realizzazione di casse di espansione. Per questo è necessario semplificare con urgenza normative che agevolino e non ostacolino questi lavori considerando il tributo di vite umane pagato finora.

In questo contesto gli agricoltori non possono essere lasciati soli a difendere il territorio; occorre un sostegno economico e formativo per ripristinare, in chiave moderna, le sistemazioni idraulico agrarie a partire dagli ambienti montani e collinari.

A proposito di montagna è opportuno sottolineare che con la scomparsa della cultura contadina sul finire degli anni ’60 del secolo scorso vaste aree sono state abbandonate e con esse sono cessate quelle opere di paziente e faticosa cura del territorio operata dagli agricoltori a cominciare proprio dalla regimazione idrica (i cosiddetti “sciacqui” trasversali alle linee di massima pendenza che proprio gli agricoltori con tanto di zappa si apprestavano a fare dopo la semina del grano) che consentiva alle acque di scendere a valle in modo controllato e soprattutto contenendo l’erosione e quindi limitando il trasporto di materiale solido incluso quel fango di cui si parla solo in occasione dei disastri. Anche la tanto decantata riforestazione, se non viene governata, avviene in maniera disordinata senza né proteggere l’ambiente, né essere fruibile per attività turistico-ricreative.

Un’azione normativa più chiara e incisiva

Occorrerebbero norme chiare per porre fine al consumo di suolo e alla sua cementificazione; purtroppo un disegno di legge in tal senso giace da anni in Parlamento. Sarebbe auspicabile un aumento delle aree verdi nelle città e soprattutto sostituire aree impermeabilizzate, come i parcheggi ad esempio, con materiali porosi che consentano l’infiltrazione dell’acqua.

È necessario rivedere anche alcune pratiche colturali, come la lavorazione del terreno dopo la raccolta del grano, che lasciano il terreno esposto alla violenza delle piogge, la cui frequenza maggiore è proprio sul finire dell’estate, che innescano, in ambienti declivi, forti fenomeni erosivi.

Certo gli effetti benefici della messa in atto di quanto sopra non sarebbero immediati ma si percepirebbero nel prossimo futuro; per questo se non si comincia mai la situazione diverrà sempre più drammatica.

L’ importanza dei media

Infine, occorre una capillare formazione dell’opinione pubblica, sensibilizzandola sulla crisi climatica in atto, sulla difficoltà della previsione di eventi estremi a livello di piccolo dettaglio, sul fatto che occorre mettersi in salvo all’inizio dell’evento, che poi può rivelarsi estremo. Molte delle vittime dell’ultima catastrofe sono state infatti colpite mentre si accingevano a mettere in salvo alcuni dei loro beni. Qui occorre un adeguato supporto dei mezzi di comunicazione di massa, social inclusi, anche ad istruire la popolazione a saper distinguere le informazioni farlocche, o le polemiche sterili, che tanto più la situazione è grave e pericolosa e tanto più abbondano.

Sarebbe opportuno anche che l’opinione pubblica acquisisse, finalmente, la percezione della fragilità del suolo e dell’ambiente in cui viviamo e si comportasse di conseguenza perché la gestione del territorio è una questione politica e la sollecitazione di determinate scelte investe tutti e non solo i decisori politico-amministrativi. Il dramma è che l’attuale atteggiamento dell’opinione pubblica nel suo insieme (decisori politico-amministrativi inclusi) sulle problematiche della fragilità del suolo sembra essere di una totale, o quasi, non curanza. Quando si parla di problemi del suolo sembra che questi riguardino solo gli agricoltori! Chissà, che non dipenda proprio da questo atteggiamento il progressivo degrado delle risorse ambientali e in primo luogo del suolo.


La Redazione

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