Uno sguardo oltre  |  febbraio 21, 2022

Peste Suina Africana, il pericolo è dietro l’angolo

La malattia infettiva PSA è causata da un virus che colpisce i suini domestici ed i cinghiali. I primi casi in Italia, i timori anche per la nostra montagna. Non esiste una vaccinazione preventiva né una terapia efficace. Non infetta gli esseri umani che però possono diffonderla. I comportamenti da evitare per cittadini comuni e allevatori. Necessaria una netta separazione degli allevamenti con doppie recinzioni e con zone filtro per gli ingressi

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In questa foto e nell'immagine della homepage carcasse di cinghiali colpiti dalla PSA

E’ arrivato a trentatre (16 in Piemonte e 17 in Liguria) il numero dei casi accertati di cinghiali morti a causa della Peste Suina Africana (PSA), una malattia infettiva causata da un virus che colpisce i suini domestici ed i cinghiali e si conclude spesso con la morte dell’animale.

Né vaccino né terapia efficace

Per questa malattia non esiste una vaccinazione preventiva, tantomeno una terapia efficace. Possiamo però dire, con certezza, che la PSA non costituisce un pericolo per la salute dell’uomo. Sebbene l’essere umano non sia ricettivo a questa malattia, esso svolge comunque un ruolo fondamentale nella sua diffusione e cioè il virus può essere veicolato da un allevamento all’altro da persone in visita, operatori sprovvisti di adeguati DPI, vestiti, scarpe, veicoli, apparecchiature e strumenti contaminati. La trasmissione della malattia avviene tramite il contatto con animali infetti, i loro prodotti o gli escrementi, compresa l’assunzione di carne infetta da parte degli animali.

I sintomi del contagio

I sintomi della malattia negli animali colpiti consistono in febbre alta, emorragie cutanee, aborto, diarrea, inappetenza e morte repentina. Il virus della PSA è estremamente resistente e può rimanere attivo per diversi mesi negli insaccati, nei prodotti a base di carne, nel sangue, nelle carcasse e nell’ambiente. L’importanza di questa malattia non è solamente legata agli ingentissimi danni alle produzioni suinicole tipiche – a causa dell’elevato tasso di mortalità ed all’obbligo di abbattimento dei capi infetti e sospetti – ma anche alle conseguenti restrizioni al commercio nazionale ed internazionale dei suini e dei prodotti da essi derivati.

Le ripercussioni occupazionali nei settori interessati

 Maiali di cinta senese

Pensiamo alle problematiche reddituali ed occupazionali che potrebbero verificarsi nei distretti specializzati nelle produzioni del suino e dei suoi trasformati: prosciutto di Parma e di San Daniele, mortadella di Bologna salame di Felino e di Langhirano, per parlare dei più conosciuti nel mondo. Non esistendo nessuna possibilità di trattamento terapeutico e di prevenzione vaccinale, la limitazione della diffusione della malattia consiste in pochi e chiari provvedimenti: evitare la diffusione del virus e riconoscere velocemente casi di malattia con conseguente smaltimento rapido delle  carcasse, insieme ad un diradamento controllato dei cinghiali ed un alto livello di biosicurezza nelle aziende dei maiali, che significa separazione netta e verificata tra i suini selvatici e quelli di allevamento. Il Ministero della Salute infatti ribadisce l’importanza della tempestiva identificazione dell’ingresso del virus nelle popolazioni indenni di cinghiali tramite la sorveglianza passiva.

La diagnosi sui cinghiali morti

Infatti l’unica probabilità di individuazione tempestiva del virus è legata alla diagnosi su cinghiali trovati morti nei loro habitat: per questo motivo i cacciatori in virtù della loro presenza e conoscenza del territorio rivestono un ruolo di primissimo piano in collaborazione con altri soggetti (forestali, polizia municipale, allevatori, escursionisti e semplici cittadini). E’ chiaro che un aumento del numero di cinghiali morti può essere un primo segnale della comparsa della PSA, per questo è fondamentale che tutti i cinghiali trovati morti, anche da incidente stradale, vengano segnalati alle autorità sanitarie (ASL di competenza, Servizio Veterinario) per il prelievo degli organi bersaglio (rene e milza) con invio ai laboratori degli istituti zooprofilattici di riferimento.

I comportamenti per evitare il contagio

La collaborazione dei cittadini è fondamentale, è importante che tutti evitino alcuni comportamenti che a cose normali possono essere considerati naturali.

1 Non dar da mangiare nessun resto della cucina ai cinghiali ed ai maiali.

2 Evitare contatti tra maiali e cinghiali.

3 Non lasciare nessun resto di cibo in natura e nei boschi.

3. Non dar da mangiare agli animali selvatici.

4. Non portare dai territori colpiti dalla PSA provviste per il viaggio contenenti carni ed insaccati.

5. Gettare i resti alimentari in contenitori ermetici per rifiuti

6. In caso di spostamenti per la caccia in territori colpiti da PSA al rientro effettuare una rigorosa igiene degli strumenti ed abiti da caccia e rinunciare ai trofei venatori.

Anche gli allevatori sia professionali che famigliari devono seguire regole per evitare il contagio e cioè.

1. Non alimentare i maiali con resti alimentari.

2. Evitare il contatto tra i maiali di allevamento e la popolazione dei cinghiali con obbligo della doppia recinzione per gli allevamenti bradi e semibradi.

3. Vietare l’accesso alla stalla alle persone estranee.

4. Accedere alle stalle solo con indumenti e stivali puliti ed idonei (sono fortemente consigliati i DPI monouso).

5. Chiamare il Veterinario in caso di sintomi poco chiari negli animali.

6. Pulire e disinfettare regolarmente le aree deputate all’allevamento con prodotti efficaci sul virus: un disinfettante efficace e molto economico è l’ipoclorito di sodio che si trova in commercio come soluzione al 5% (candeggina) da diluire 1:10 con acqua; per un uso più flessibile della disinfezione si può usare il Virkpn S all’1% per irrorazione nelle strutture interne e nebulizzazione negli ambienti.

Considerazioni finali

Per concludere giova fare due considerazioni.

La complessa lotta contro la PSA dovrà prevedere un’attività di depopolamento del cinghiale da operarsi tramite i cacciatori e gli operatori abilitati, alle dipendenze dell’autorità sanitaria regionale, con un aumento dei piani di prelievo e l’abbattimento selettivo di alcune categorie, in particolare le femmine riproduttive.

La necessità di preservare la salute degli animali allevati nelle zone montane confligge con la contiguità degli animali selvatici; paradossalmente le tipologie di allevamento più naturali (brado e semibrado), che garantiscono il benessere degli animali, sono le più soggette alle infezioni veicolate dai selvatici. Fondamentale per la difesa delle produzioni zootecniche della montagna è quindi la severa separazione degli allevamenti con doppie recinzioni e con efficaci zone filtro per gli ingressi; ma ciò non sarà sufficiente se non si metteranno in campo seri piani di controllo della salute dei selvatici presenti sul territorio, che individuino i nuovi rischi per gli animali allevati e per la salute pubblica.


La Redazione

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