L'intervista  |  luglio 3, 2021

“Il nostro no alla nuova funivia Doganaccia – Corno alle Scale”

Intervista a Massimo Bizzarri, presidente del CAI Emilia Romagna: "La stazione invernale del Corno dovrebbe essere resa più efficiente, senza costosi ampliamenti". E lo sci da discesa? "E' importante ma non possiamo considerarlo l'unica fonte di reddito. E' ormai un mercato maturo in lenta ma costante flessione". C'è poi il riscaldamento globale "che ha già alzato la linea delle nevi". Le alternative per il turismo invernale? "L'escursionismo con racchette da neve o ramponi, l'arrampicata su ghiaccio, lo scialpinismo"


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Diversi organi di stampa, nelle scorse settimane, hanno dato risalto al progetto della funivia che dovrebbe collegare Doganaccia e Corno alle Scale. L’occasione per tornare a parlare di questo argomento è stato un recente sopralluogo dei vertici della Regione Toscana. Il presidente Eugenio Giani ha ricordato che questo progetto sarà funzionale a tre percorsi: “Uno sciistico, uno pedonale per gli appassionati di percorsi montani e il terzo per gli sportivi che amano la mountain bike”. La funivia, che andrà a collegare il comprensorio sciistico toscano e quello emiliano del Corno alle Scale, era stata prevista da un accordo di programma di alcuni anni fa. Tale accordo, concertato col Ministero dello Sport e la Federazione italiana sport invernali, prevedeva un investimento di 5 milioni. Ad oggi il progetto si aggira attorno ai 7 milioni di euro perché, nel frattempo, i costi sono lievitati. I 2 milioni che mancano all’appello, da quanto si apprende, sarebbero però messi a disposizione da Regione Toscana.

Si tratterebbe dunque, almeno a prima vista, di un’opera pubblica finalizzata a rilanciare il territorio, realizzare investimenti che fanno girare l’economia, costruire infrastrutture che attireranno turisti, potenziare i comprensori sciistici sui versanti emiliano e toscano…

Ma in realtà questo intervento chiama in causa tanti altri aspetti e solleva diversi interrogativi: come intendiamo il nostro rapporto con la montagna? Quale è il “modello di sviluppo” socio-economico che vogliamo perseguire? Come si salva la montagna dallo spopolamento? Come si traduce, nel concreto, la tanto osannata “transizione ecologica”? Ma una domanda su tutte sorge spontanea: il mantra del “Niente sarà più come prima”, quello slogan che ci ripetevano durante il lockdown, cosa stava a significare in realtà?

Per affrontare questi interrogativi a Massimo Bizzarri, presidente del Cai Emilia-Romagna, organizzazione che, negli anni passati, era già intervenuta su questo progetto.

Il CAI si è già espresso, con lettere e documenti ufficiali, su questo progetto. Può ricordarci quale è la vostra posizione in merito? Quali possono essere, a suo giudizio, le ricadute per l’economia locale e quali invece gli impatti sull’ambiente?

“Purtroppo, con l’enorme flusso di denaro che arriverà a seguito della pandemia, il progetto riprende vigore, dopo essere stato accantonato per qualche anno. Non potrà non avere notato che in questi mesi spuntano progetti in tutta Italia di rilancio di siti e comprensori montani per ingrandirli, collegarli tra loro, arricchirli con nuovi impianti e conseguentemente con nuove cementificazioni, camuffando tutto ciò con la sostenibilità. Ma come si può pensare di barattare progetti di nuovi collegamenti a funi, con devastazione di pendii, sostenendo che ciò elimina traffico motorizzato dalle strade ed è quindi sostenibile? Riteniamo che il Presidente del Consiglio non abbia pensato a ciò con la costituzione del nuovo ministero della transizione ecologica.
Le amministrazioni pubbliche, a nostro modo di vedere ed è un po’ che come CAI lo ripetiamo nei vari incontri con gli enti, devono avere il coraggio di pensare a lungo termine e non nel limite del mandato. Sul territorio cosa rimane dei milioni di euro spesi per dette nuove costruzioni? E soprattutto chi beneficia di tutto ciò? Le ditte che costruiscono l’impianto non sono locali, le maestranze, certamente specializzate, di solito sono al seguito delle predette società, i materiali, questi sì potrebbero essere locali ma costruiti i basamenti e le stazioni (cemento, sabbia, ferro) si esaurisce la fornitura e siamo da capo.
Non sono in grado di riferire quale potrà essere l’impatto e la ricaduta per l’economia locale con un simile faraonico progetto. Certo è che se guardiamo solo un lato della medaglia, dimenticandoci gli aspetti ambientali, che guarda caso sono sempre dalla parte opposta, allora tutto diventa ipotizzabile, ma sarà, come del resto è stato in larga parte sino ad oggi un incentivo poi a cementificare ancora di più, per aumentare i flussi di denaro o, un progetto che sarà in perdita per poi essere abbandonato”.

La nostra montagna è soggetta, ormai da parecchio tempo, ad un processo di spopolamento. E i territori abbandonati subiscono rapidamente processi di degrado e dissesto che, come in una spirale perversa, alimentano l’ulteriore spopolamento. Quali sono secondo lei gli interventi che potrebbero servire a “salvare” la montagna e impedirne l’abbandono?

“Mi soffermo per ora solo al problema del dissesto: costruiamo nuovi milionari impianti ma lasciamo che i boschi siano abbandonati, che non vengano tagliati, che le coste siano erose ed i pendii distrutti da valanghe, dal gelicidio, dal vento, dal fuoco, non siano messi in sicurezza e recuperati. Che le strade siano dei colabrodi e in caso di interruzioni (vedi smottamenti e frane), il disagio per i residenti e per i turisti siano prolungati per mesi, facendo a volte perdere quasi una stagione. In merito alle nostre valutazioni sugli interventi da portare avanti per “salvare” la montagna, risponderò nelle successive domande”.

Una delle principali finalità di questa funivia dovrebbe essere quella di collegare comprensorio sciistico toscano e quello emiliano del Corno alle Scale. Però esperti e studiosi, da diverso tempo, stanno mettendo in guardia sul futuro degli sport invernali sempre più in difficoltà per i cambiamenti climatici. Già oggi la gestione degli impianti e delle piste è sconveniente in termini economici e molto impattante dal punto di vista ecologico. Secondo lei quale può essere il futuro del turismo in montagna e, in particolare, sull’Appennino?

“Come già riferito il grande flusso di denaro, da un punto di vista ambientale, se non gestito con oculatezza, coraggio e visioni lontane, potrebbe essere più pericoloso della totale mancanza di soldi. Ma allora perché non utilizzare i dati attuali sul cambiamento climatico per investire nel turismo lento? Visti i movimenti di escursionisti degli ultimi anni, investire le stesse cifre per promuovere un turismo “naturale” quattro stagioni? Ampliare e regolarizzare i trasporti pubblici? Aiutare la nascita o la ristrutturazione/conversione di strutture ricettizie? Aiutare la ripresa di attività locali con incentivi per promuovendo prodotti tipici, sempre più ricercati da un turismo dolce di scoperta? Certo, occorre volersi bene a pensare in grande ma se continuiamo a costruire solo ritenendo che l’unica fonte di reddito sia lo sci da discesa (e le garantisco che sono sciatore da sempre e scialpinista da quasi trentanni , mi faccio del male) allora non ne usciamo. Inoltre lo sci è ormai un mercato maturo in lenta ma costante flessione; ogni sciatore attirato in un comprensorio con nuovi impianti è tolto ad altri comprensori. E qui, mi soffermo per un’ulteriore riflessione: non si tratta di strategie aziendali (più io produco più riduco la concorrenza e se gli altri chiudono le attività ben venga) ma di cementificare da una parte ampliando certi impianti e distruggere dall’altra abbandonando il territorio (vogliamo parlare degli immobili diroccati a fianco dei parcheggi ed alle partenze delle seggiovie).
Infine, secondo gli studi sul cambiamento climatico, il riscaldamento globale in atto ha già alzato la linea delle nevi e ridotto il periodo di innevamento a terra sotto i 2.500 m; le proiezioni dicono che le stazioni sciistiche sotto i 2.000 hanno tra i 5 ed i 10 anni di vita prima di dover chiudere per mancanza di neve. Il fenomeno si è avviato già 20 anni fa; allora si commise l’errore di pensare che l’innevamento artificiale fosse la soluzione definitiva e non ci si rese conto che quella soluzione aveva le gambe corte e si doveva cominciare a diversificare l’offerta. Oggi, nonostante i rapporti sempre più negativi, si insiste a voler creare bacini artificiali per poter approvvigionare d’inverno i vari cannoni sparaneve, senza pensare, a peggiorar ancor più la situazione, alle enormi quantità di sali e additivi (e che non ci vengano a raccontare che è solo acqua ghiacciata) che poi si disciolgono e filtrano nel terreno. Vi sono valli e località in cui da tempo si è puntato ad un turismo, anche invernale, senza impianti ed ora, quella scelta, si sta rivelando vincente. I volontari del CAI curano una rete di sentieri che si estende per migliaia di chilometri: è una infrastruttura leggera, già pronta per sostenere una domanda crescente, anche da altri paesi, di turismo consapevole e, come si dice ora, “esperienziale”, manca una convinta promozione da parte pubblica”.

Nel 2019 il CAI partecipò, presentando un proprio contributo, alla discussione del Master Plan del Comprensorio sciistico del Corno alle Scale. Può dirci, in sintesi, quali furono, all’epoca, le vostre osservazioni?

“Il master Plan cui fa riferimento, fu commissionato dalla precedente amministrazione del Comune di Lizzano in Belvedere ed era costituito da una corposa parte di analisi del territorio, della demografia e del turismo e da una serie di proposte per l’impiego dei fondi previsti dall’accordo con il governo. Oggi quel documento è stato cestinato dalla attuale amministrazione, che ha direttamente elaborato un progetto per la costruzione di un nuovo impianto e la demolizione di due esistenti (uno dei quali avrebbe vita attiva fino al 2039) Nel 2019 il CAI presentò un contributo alla redazione del Master Plan come le seguenti principali considerazioni (che ad oggi risultano anch’esse in parte datate):
– il prospettato collegamento risulta anomalo rispetto a quelli di altre località sciistiche in quanto non collega direttamente due o più piste, ma solo due impianti, uno sul versante emiliano e uno su quello toscano dove non ci sono e non sono ipotizzabili piste;
– l’impianto Doganaccia – Scaffaiolo sarebbe particolarmente esposto ai forti venti che caratterizzano frequentemente il versante col rischio di interruzione del servizio nel corso della giornata e di impossibilità degli sciatori di ritornare ai rispettivi punti di partenza;
– un eventuale nuovo impianto dalle Polle al bivacco Musiani non servirebbe direttamente nessuna pista e quindi, almeno nel periodo invernale, sarebbe funzionale esclusivamente al collegamento con l’impianto proveniente dalla Toscana riducendone sensibilmente la funzionalità e l’utilità nell’economia complessiva della stazione;
– l’aperta contrarietà del Comune di Abetone Cutigliano e la disponibilità al momento molto generica di quello di San Marcello Piteglio se non mettono in dubbio la realizzazione dell’impianto sul versante toscano fanno presagire tempi molto più lunghi di quelli previsti sul nostro versante; conseguentemente la seggiovia Polle – bivacco Musiani resterebbe per un tempo indeterminato non utilizzabile d’inverno, per trasformarsi addirittura nell’ennesima opera incompiuta e nel conseguente spreco di denaro pubblico nel caso di mancata realizzazione dell’impianto Doganaccia – Scaffaiolo;
Inoltre riteniamo che sia necessario ormai dare il giusto peso alle attività invernali diverse dallo sci da discesa, che sono in continua espansione. Ci riferiamo all’escursionismo con racchette da neve e/o ramponi (a seconda delle condizioni del manto nevoso) praticato su tutto il comprensorio, all’arrampicata su ghiaccio, molto praticata sui cosiddetti “canalini” che guardano a nord sulla valle del Silenzio, ed allo scialpinismo, praticato soprattutto nella valle del Silenzio e nella val di Gorgo.
A questo scopo, nel quadro della infrastrutturazione all’interno del comprensorio, si tratta di individuare e segnare percorsi per racchette/ramponi e di scialpinismo che non interferiscano con le piste da sci, per risolvere ed evitare situazioni pericolose.
Quanto ad accessibilità occorre valutare il gradimento di un potenziamento del servizio di trasporto pubblico; “treno della neve” e “bus della neve” sono esperienze che in passato hanno funzionato.
Anche per il turismo estivo riteniamo utile il potenziamento del servizio di trasporto pubblico, la costituzione di una rete di alberghi che offrano servizi integrati, anche di accompagnamento (sull’esempio di quanto già fatto da alcuni). L’area è attraversata da alcuni itinerari di grande rilievo: il Sentiero Italia CAI, la vecchia GEA, l’Alta via dei Parchi, la Linea Gotica, il sentiero europeo E1, la Romea Strata Nonantolana, la Piccola Cassia. Utile un supporto al CAI per la manutenzione dei sentieri: curiamo l’ordinaria, per la straordinaria occorrono risorse pubbliche. Sono necessarie azioni di promozione di questi itinerari (la domanda è in crescita, anche da paesi stranieri) e il miglioramento e il potenziamento del sistema ricettivo dei posti tappa.
In definitiva, l’Appennino tosco-emiliano ha molto da offrire al cosiddetto “turismo esperienziale”: è ricco di emergenze ambientali, storiche, culturali, agroalimentari: occorrono una adeguata promozione del territorio ed il sostegno ad associazioni e privati che già operano in questa direzione.
Oggi, aggiungerei, che nessuno pretende di abbandonare la pratica dello sci in Appennino e al Corno alle Scale in particolare. Ma riteniamo che quella stazione invernale dovrebbe essere razionalizzata e resa più efficiente, senza ulteriori costosi ampliamenti che avrebbero vita breve. Una buona gestione manageriale potrebbe rilanciarla ed assicurare il lavoro agli operatori legati allo sci, finchè le condizioni climatiche lo consentiranno, ad esempio facendone un centro di avviamento agli sport invernali (tutti) rivolto ai giovani: la sola valle del Reno, con le sue migliaia di studenti delle scuole medie inferiori e superiori, costituirebbe un target sufficiente alla sua sopravvivenza”.

Durante la recente pandemia ci hanno ripetuto, quasi come fosse un mantra, che niente sarebbe stato più come prima. In quelle drammatiche settimane di lockdown si era diffusa l’idea che “il futuro è lento” e che, per motivi di sicurezza e qualità della vita, avremmo dovuto puntare ad un diverso approccio con l’ambiente ed anche con la sua fruizione turistica. Quale dovrebbe essere, secondo lei, il modo migliore per rapportarci alla montagna nel mondo “post Covid”?

“Come già detto senza programmazione non c’è futuro o meglio si vive alla giornata o peggio con il rischio di dover correggere invasivi errori commessi. Certamente non si dovrebbero ripetere le situazioni critiche della scorsa estate, con sciami di persone che si accalcavano su pendi e prati di località note e famose ma se non ci sono proposte alternative e tutto viene investito su poche località, rendendole surrogati della città, non usciremo da questo circolo vizioso. E’ compito delle istituzioni promuovere il territorio e quando dico territorio intendo tutto il territorio e non questa o quella località famosa. Sarà un progetto lungo, con importanti investimenti di cui benificerà sia il “turista” – che troverà servizi e ospitalità – che il residente/commerciante – con flussi di turisti ed incentivi dalla PA -, ma sarà l’unico modo per diversificare e permettere all’economia locale di progredire e vivere 365 giorni l’anno.
Se andiamo oggi ad analizzare le devastazioni o gli scempi “architettonici” degli anni 60/70 ci scandalizziamo, dicendo che gli amministratori di allora non avevano alcun rispetto e soprattutto alcuna cultura circa la tutela del territorio. E così vogliamo ripetere gli stessi errori? Non abbiamo imparato nulla? Il CAI ha prodotto un approfondito studio denominato “Cambiamenti climatici, neve, industria dello sci” che analizza con dati e riscontri la situazione attuale. Tra 15/20 anni a chi daremo la colpa per altre stazioni sciistiche abbandonate? Al caso o a chi, nonostante tutti i segnali, continua ad operare in modo miope?
In attesa dei cambiamenti, dobbiamo, quali “turisti lenti” però avere pazienza e fare la nostra parte, scegliendo località meno note e spingere e giustificare il cambiamento di rotta. Gli amministratori non solo quindi devono investire a lungo termine ma, così facendo, renderanno accettabile il tempo necessario al radicale cambiamento ai turisti.
Infine un appunto alla resistenza di certi “imprenditori locali”: quanti bar, ristoranti, servizi vengono tenuti aperti in montagna? Parliamo di spopolamento, ma se adesso che il turismo lento sta prendendo possesso del territorio tutto l’anno perché questi esercizi non si convincono che possono offrire tanto? Al contrario, avendo l’esperienza dell’invasione in certi week end  invernali, pretendono che sia sempre così e quindi…. chiudono negli altri mesi. Mi sia permesso, ognuno deve fare la propria parte”.


Andrea Piazza

Andrea Piazza nasce a Mantova nel 1974. Vive tra le rive di due fiumi (il Po e il Mincio) ma coltiva, da sempre, l’amore per la montagna. Ha due grandi passioni: il viaggio e la fotografia. Due attività che trovano un perfetto connubio nell’intrigante bellezza delle nostre montagne. Da qualche tempo cura un blog http://www.artedicamminare.it/ nel quale racconta, in modo simpatico e “non convenzionale”, i suoi viaggi sull’Appennino e non solo.