Ambiente, Editoriale  |  settembre 13, 2017

Le città sono giganti dai piedi d’argilla: ce lo dice l’ennesima alluvione

I drammatici fatti di Livorno mostrano agglomerati urbani vulnerabili, cementificati e asfaltati oltre misura, con fiumi e torrenti tombati. Necessario cambiare i regolamenti forestali; regimare e ripulire i corsi d'acqua; predisporre briglie che rallentino a monte la furia delle ondate di piena; favorire l'agricoltura di montagna e di collina. Serve una svolta culturale, che consideri città e territori circostanti come un unicum

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L'alluvione a Livorno (foto 3b meteo)

Ci risiamo: una nuova alluvione. E allora ecco i soliti rimpalli di responsabilità, le solite condoglianze di circostanza, i consueti elettoralismi strumentali, ipocriti e disgustosi, di chi cerca di mendicare qualche voto su disgrazie e tragedie, più o meno annunciate. Insomma, una litania infinita di consuetudini italiote, dietro le quali c’è la pochezza o addirittura il malcostume, tanto che si arriva a pensare che ci sia proprio la volontà di non fare prevenzione.

Le solite frasi fatte

Sgradevoli sono, poi, i florilegi di futilità che politici e amministratori sventolano sui media; del tipo “Mettiamo in sicurezza le nostre città”, ”La burocrazia impedisce che si investano risorse”, “Le bombe d’acqua sono imprevedibili”, “E’ stata smantellata la Protezione Civile”, “L’allerta era solo arancione”, “L’Europa ci limita”, ecc. Nelle migliori delle ipotesi sono tutte, e solo, mezze verità. Come al solito si guarda il dito e non la luna.

Città vulnerabili

Un fatto è certo: le nostre città, così come sono state concepite, risultano estremamente vulnerabili, sono giganti dai piedi d’argilla. Sovradimensionate, anche rispetto alle infrastrutture di scarico di cui dispongono, cementificate e asfaltate oltre misura, e soprattutto (questo si dice raramente) pedemontane, nel senso che molte sono situate a ridosso della catena appenninica, che fa da potente collettrice idrica, nonché collocate in territori idrogeologicamente fragili.

Costituisce un’aggravante la corsa all’economia e al guadagno che fa di questa civiltà un totem, un vitello d’oro a cui tutti si inchinano, anche le amministrazioni comunali che per decenni hanno ripianato i bilanci con gli oneri di urbanizzazione derivati dalle edificazioni (fortunatamente dal 2018 ciò non sarà più possibile per legge). Così si è costruito dappertutto, tombando anche fiumi e torrenti: Genova ne è un esempio rilevante, ma questo scempio si è consumato un po’ ovunque. Ora è difficile tornare indietro, ma qualcosa si può fare.

Serve una svolta culturale

Innanzi tutto occorre un’inversione culturale netta, una definitiva presa di coscienza, decidendo altre priorità, investendo in prevenzione, cominciando a pensare che città e territori circostanti sono un unicum, una cosa sola, senza confini amministrativi, regimando e ripulendo i corsi d’acqua e dotandoli di briglie che rallentino a monte la furia delle ondate di piena, favorendo un’agricoltura di collina e di montagna che dissodi i campi (le terre lavorate assorbono grandi quantità di acqua piovana), stimolando la pulizia dei boschi e in generale la corretta gestione dei territori periferici, incentivando la permanenza delle giovani famiglie, a presidio delle colline e delle montagne. Investire risorse in queste direzioni significherebbe creare anche una quantità enorme di posti di lavoro.

Basta burocretinismo

Per far questo, però, occorrerebbe tagliare le chele al burocretinismo (ma la burocrazia non dovrebbe servire ad un’ordinata e giusta convivenza civile?) e cambiare certi regolamenti forestali che, così come sono, parlano solo di vincoli e sanzioni. A tal proposito, se un privato intende ripulire un fosso da sterpaglie e alberi pericolosi, incorre in denunce, come un pericoloso criminale!

E allora queste sane operazioni di pulizia le facciano gli enti preposti. Ma se per alcuni corsi d’acqua della nostra montagna non si sa nemmeno a quale ente appartengano le competenze!!!

Si curano gli effetti non le cause

Del resto i risultati dimostrano che le scelte fatte fino ad oggi in tema di gestione del territorio sono fallimentari e che bisogna correre ai ripari, impiegando denaro pubblico e privato per gestire adeguatamente le colline e le montagne, e poi le città; perché è assurdo curare gli effetti e non le cause.

Il Grillo parlante…

La nostra testata ormai da tempo sta cercando di far passare questo messaggio e rischia di contrarre la sindrome del Grillo Parlante. Questo non lo vorremmo proprio, anche perché, nel libro di Pinocchio, il Grillo inizialmente non fa certo una bella fine! Salvo, poi, riapparire, ancor più saggio e comprensivo di prima…


Maurizio Ferrari

Maurizio Ferrari, sambucano di origine, ha insegnato Lettere per 38 anni nelle Scuole superiori pistoiesi. Ora è imprenditore agricolo e si sta impegnando nella promozione e nel rilancio del territorio appenninico come Presidente dell'Associazione "Amo la montagna APS" che si è costituita nel 2013 e che ha sede a Castello di Cireglio.Ha collaborato per 25 anni alla rivista "Vita in Campagna", del gruppo "Informatore Agrario". Recentemente ha pubblicato alcune raccolte di racconti ispirati alla vita quotidiana di Sambuca, dal titolo :"Dieci racconti sambucani"; "La mia Sambuga" e "Cuori d'ommeni e di animali", nonché una favola per bambini, "La magìa della valle dimenticata" illustrata dagli alunni della scuola elementare "P.Petrocchi " di CIreglio (Pistoia)