Cultura & Spettacoli  |  aprile 18, 2017

Nel museo di Baggio un pezzo di storia della nostra montagna

Una raccolta di strumenti, costumi e oggetti vari della vita del carbonaio, che svela le fatiche e le privazioni di un tempo. Un mondo a sé, anche dal punto di vista linguistico. Quali erano le competenze necessarie per una buona carbonaia. L'importanza della filiera della castagna. Anche come possibile investimento per il futuro

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Il museo del carbonaio a Baggio

BAGGIO (PISTOIA) – Fino a mezzo secolo fa un po’ in tutti i nostri paesi di montagna si conduceva una vita simile, sia dal punto di vista sociale che economico. I ritmi erano modulati sulle stagioni e l’auto sussistenza si basava su un’agricoltura povera, su un allevamento estensivo e sullo sfruttamento delle risorse dei boschi. Si capisce perché molti montanini abbiano dovuto abbandonare, seppur controvoglia, la propria terra, per cercar lavoro nelle città o in paesi stranieri e metter su famiglia altrove, creando un impoverimento demografico delle nostre aree periferiche.

A distanza di oltre mezzo secolo si scontano le conseguenze dell’abbandono e dell’incuria.

Il Museo del carbonaio

In ogni paese, comunque, si è conservato qualcosa del passato, delle abitudini di vita, delle tradizioni che sono state ereditate dagli avi. Baggio, ad esempio, ha allestito il Museo del carbonaio, in cui sono raccolti strumenti, costumi e oggetti vari inerenti a questo lavoro antico e faticoso, che spesso si imparava da bambini facendo il “Mèo”, cioè l’aiutante del carbonaio, chiamato a provvedere ai lavori più umili, come attingere acqua, far fuoco, far la polenda e controllare continuamente le carbonaie affinché non si “infocassero”.

La carbonaia

La carbonaia era un sistema di distillazione del legno, ottenuta senza contatto con l’aria, che avrebbe prodotto l’incerenimento, e quindi la distruzione, della materia prima. Per fare un buon carbone occorrevano competenze multidisciplinari, si direbbe oggi; alcune di carattere generale, come la tipologia del legname (legno forte e legno dolce) o le fondamentali nozioni meteorologiche, come la conoscenza del vento; altre, invece, di tipo più specifico, quali la tecnica raffinata di costruzione delle carbonaie (vere e proprie opere architettoniche!) o il procedimento di cottura del legno che doveva avvenire secondo regole precise, per produrre un carbone nero, sonoro, compatto e resistente alla fiamma.

Il Museo del carbonaio è veramente degno di essere visitato perché svela un aspetto durissimo della vita dei nostri avi, fatta di fatiche, di privazioni e di veglie notturne, e ci fa conoscere un “sistema”, un mondo a sé, anche dal punto di vista linguistico.

Si può dunque scoprire cosa siano il sommondino, le chiove, le rapazzole , i bacchi, il cavallo, la rocchina, i banchini, l’infochina, insomma, le parole dei carbonai, così particolari e così “vere”.

La filiera della castagna

L’intento didattico dei volontari che tengono ancora vive le tradizioni di Baggio non si esaurisce con la rappresentazione del mondo dei carbonai, ma si estende anche alla filiera della castagna, essendo il paese collocato ai margini delle selve di castagno, che hanno sostenuto per secoli l’alimentazione della gente di quassù. Percorrendo la Via Baiana, ora mulattiera ma un tempo importante tracciato dell’ampio reticolo della Via Francigena, si raggiungono i castagneti ed è possibile essere “guidati” al metato, cioè all’edificio dove si seccavano le castagne e poter così rendersi conto di quali e quanti laboriosi momenti servissero per arrivare alla preziosa farina dolce e ai necci.

Un piccolo commento finale

A questo punto, però, occorre fare una riflessione : cosa ne sarà di questi saperi antichi quando gli ultimi esperti di questa filiera non ci saranno più? Basterà avere a disposizione un museo per capire le nostre radici? Non credo che basti un locale per tener viva la memoria, anche perché non sono così sicuro che non ci sia avvenire per la farina dolce, che oggi ha un valore economico interessante. Mi preme sempre sottolineare che nel 2016 abbiamo importato in Italia il 70% del nostro fabbisogno nazionale di castagne. E allora, perché non incentivare di nuovo la castanicoltura e la sua filiera che darebbe lavoro a giovani volenterosi, se ci sono?

Sarebbe un investimento economico per il futuro ed un’occasione per “sfruttare” le conoscenze in materia che hanno ancora i baggesi e gli altri esperti castanicoltori che sono rimasti negli altri borghi della nostra montagna. In questo modo passato e futuro avrebbero una logica e giusta continuità.

Informazioni utili sul museo

Per informazioni e prenotazioni: tel 0573-46422 : cell 338 7866205. Email: [email protected]. Il museo è aperto la domenica pomeriggio: orario 15,30-19. Museo chiuso nei mesi di Ottobre, Novembre, Dicembre (eccetto periodo natalizio), Gennaio e Febbraio.

Interni ed esterni del museo del carbonaio

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Maurizio Ferrari

Maurizio Ferrari, sambucano di origine, ha insegnato Lettere per 38 anni nelle Scuole superiori pistoiesi. Ora è imprenditore agricolo e si sta impegnando nella promozione e nel rilancio del territorio appenninico come Presidente dell'Associazione "Amo la montagna APS" che si è costituita nel 2013 e che ha sede a Castello di Cireglio.Ha collaborato per 25 anni alla rivista "Vita in Campagna", del gruppo "Informatore Agrario". Recentemente ha pubblicato alcune raccolte di racconti ispirati alla vita quotidiana di Sambuca, dal titolo :"Dieci racconti sambucani"; "La mia Sambuga" e "Cuori d'ommeni e di animali", nonché una favola per bambini, "La magìa della valle dimenticata" illustrata dagli alunni della scuola elementare "P.Petrocchi " di CIreglio (Pistoia)