L’occhio del fotoreporter, nel suo lavoro, incontra sempre lo sguardo della contemporaneità nuda e cruda, a volte è un vero e proprio amplificatore del mondo che ci circonda e, come l’Arte tenta di risvegliare l’anima, così il fotogiornalismo ci riporta all’attenzione dei problemi dei nostri tempi sbattendoci in faccia quello che non vogliamo vedere, ma soprattutto rende visibile il grido di aiuto delle persone che non hanno voce.
Il secondo appuntamento, dopo Massimo Biagi, (che potete leggere a questo link: Arte di Altura: Massimo Biagi Miradario e le sue Singolari Figure, ) Arte di Altura parla di Simone Margelli Fotogiornalista.
Simone, come e quando nasce la tua voglia di raccontare il mondo attraverso la macchina fotografica?
“La cultura dell’immagine è sempre stata un mio richiamo, iniziata con la passione, ancora ben presente, del Cinema.
L’interesse alla fotografia è stato un naturale passaggio, perché oltre a godere passivamente dell’estetica della visione, cresceva la voglia di voler raccontare le mie storie, a mettere lo sguardo dove di solito nessuno guarda, ad andare oltre la foto come oggetto-ricordo.
Ho iniziato così a fotografare; un bel pretesto per raccontare quello che i miei occhi ricercavano, e raccogliere tutti questi istanti in progetti da mostrare a loro volta.
Ha studiato fotogiornalismo con un corso di specializzazione presso la Fondazione Studio Marangoni di Firenze, tenuto da Michele Borzoni e Simone Donati fotografi del Collettivo TerraProject. Questa esperienza mi ha permesso di avere un’ulteriore ed importante visione da chi lavora e vive di fotografia quotidianamente, focalizzando molti aspetti non scontati del “dietro le quinte” di un fotoprogetto, facendomi accrescere lo stimolo di fare fotografia di reportage”
Quali sono i temi ed i progetti del tuo raccontare con la fotografia ?
“Credo che ognuno deve raccontare il suo tempo, il mondo che lo circonda, compreso i suoi abitanti, ed io sono stato sempre attratto dal raccontare le persone che interagiscono con l’ambiente dove trascorrono la loro esistenza.
E’ questa la mia idea di fotografia a tema sociale, riuscire a parlare di problemi che coinvolgono la comunità attraverso il singolo caso; come nel mio attuale progetto ancora in fase di creazione, dove
sono a documentare la vita quotidiana di una madre sola con sua figlia disabile.
A volte è proprio dura, sentirsi “di troppo” in alcuni momenti della loro quotidianità casalinga che si trasforma in una prigione senza sbarre, poi ritrovo nuova energia e sicurezza quando vedo che sono proprio loro i primi a richiedere di far uscire la loro storia, di far evadere da quelle quattro mura le difficoltà che incontrano, l’emarginazione, la solitudine, ma anche i momenti felici.
Raccontare la loro vita per non farli sentire soli, per non far sentire sole le altre persone che sono nella loro stessa situazione, e per destare l’attenzione di tutti gli altri che non conoscono queste realtà.
La mia fotografia vuole capire lo stato delle cose per divulgare la consapevolezza dei problemi.”
Se non sbaglio alcuni luoghi del tuo ultimo progetto “Take Refuge” sono sulla montagna pistoiese, ce ne potresti parlare?
“Non sbagli, le strutture in cui ho fotografato erano quella a Le Piastre, alla Collina ed a Massa e Cozzile.
Ho realizzato il lavoro tra dicembre 2014 e gennaio 2015, in quel periodo i centri di accoglienza nella nostra zona erano pochi, soprattutto dislocati in zone montane.
Questo progetto è nato sempre dalla mia voglia di sapere come stavano realmente le cose, così spinto dalla mala-informazione, ho iniziato a chiedere alle varie associazioni che gestiscono i centri, in particolare Consorzio Co&So, Gruppo Incontro Cooperativa Sociale , Cooperativa Arké e Associazione IVES Pistoia, la mia idea ed il permesso di andare a realizzare i miei scatti; ed ho trovato subito molta collaborazione e disponibilità, da parte di tutti, a partire dai volontari, passando dagli abitanti del posto, fino alle persone fotografate.
Ho voluto ritrarre i profughi nella loro dignità ed umanità di ogni giorno, nella loro esperienza di vita in un paese che non è il loro, nel loro lungo aspettare i documenti necessari per avere lo stato di rifugiato.
Ottenere questo stato è un iter molto lungo, dove ognuno di loro, insieme alla propria storia, deve essere sottoposto ad una commissione, effettuare una richiesta di asilo come rifugiato, in modo da avere le carte in regola anche per poter avere un regolare contratto di lavoro; il tempo di attesa per la risposta da parte della commissione come minimo è di 6 mesi, ma sono molti i casi che la burocrazia, e le complicazioni portano a prolungare di molti mesi l’attesa.”
Da persona che ha vissuto da vicino l’esperienza con i rifugiati, come lo hai trovato il rapporto di convivenza fra abitanti, soprattutto quelli della montagna, ed ospiti dei centri di accoglienza ?
“Prima ti ho parlato che i primi centri sono stati quelli in montagna, e devo dire “non a caso”… in piccole realtà come possono essere i paesini montani il nuovo, il “forestiero”, ha un’impatto immediato, viene subito considerato e la comunità è più sensibile al cambiamento.
Nelle medio/grandi comunità, dove le persone stentano a salutarsi anche fra condomini dello stesso palazzo, e la varietà di etnie è maggiore, 30/50/100 profughi hanno un impatto molto minore, sono maggiormente diluiti nel tram tram quotidiano, e questa situazione genera indifferenza diffusa, mancanza di sensibilità e pregiudizio, si pensa sempre che il problema sia sempre da un’altra parte, che non ci tocchi.
Nelle piccole comunità dove i problemi toccano subito i nervi scoperti, è normale che si creino dei contrasti e delle incomprensioni, anche solo per la paura di quello che non si conosce, ma come velocemente si creano i problemi altrettanto velocemente si sciolgono; come a Le Piastre, dove dopo 3 mesi di insediamento del centro, è bastata una partita di calcio fra profughi e persone locali , per abbattere il muro del pregiudizio.
Ho scelto proprio questa immagine della partita, incastonata nel suggestivo paesaggio montano, come foto che apre il libro Take Refuge, edito da Settegiorni Editore.”
L’ultima domanda che faccio ad ogni Artista – Immaginati di essere una Montagna, ed avere la possibilità di poter parlare all’Uomo, cosa gli diresti ?
“Per ora non mi rovinate tanto, trattate le vostre città, i vostri luoghi di appartenenza, e quelli dove vi rifugiate, rispettateli e rispettatemi!
Poi non direi molto altro perché alla fine è un dialogo fra sordi…”
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Altri due articoli de LVDM sul tema:
- Profughi nella Valle del Reno, il Comune: “L’attività di quella struttura autonoma rispetto alle Piastre”
- La Pro loco delle Piastre: “Altri 40 profughi a due passi dal paese. La montagna si ripopola così?”
La Pro loco delle Piastre: “Altri 40 profughi a due passi dal paese. La montagna si ripopola così?”
Biografia
Nato a Pistoia il 28/10/1987, scopre la fotografia all’età di 16 anni dopo aver acquistato una macchina fotografica reflex Petri analogica. Perito Industriale. Nel corso della giovinezza scopre la passione per il Cinema, la quale lo porta ad acquisire un occhio attento alle immagini ed al valore di esse. Ha studiato fotogiornalismo con un corso di specializzazione presso la Fondazione Studio Marangoni di Firenze, tenuto da Michele Borzoni e Simone Donati fotografi del Collettivo TerraProject. Nella fotografia documentaria e di reportage ha trovato modo di potersi esprimere in totale libertà per analizzare l’uomo e l’ambiente in cui vive. Tra dicembre 2014 e gennaio 2015 realizza un reportage sui centri di accoglienza per i profughi chiamato “Take Refuge”, in collaborazione con le cooperative “Co&So” e “Gruppo Incontro Cooperativa Sociale”, diventata successivamente una mostra con il patrocinio dell’ UNHCR. Assieme all’associazione IVES ha realizzato “chi ha paura di omo?”, un progetto fotografico sulla lotta contro l’omotransfobia, inaugurata nel mese di maggio 2015 alla Biblioteca San Giorgio di Pistoia.
Pubblicazioni :
– CORRIERE DELLA SERA, Corriere Fiorentino, Take Refuge, Luglio 2016
– SHOOT 4 CHANGE, Take Refuge, Aprile 2016
– CARNAGENEWS.COM, George Romero al Lucca Film Festival di Michele Galardini, Aprile 2016
– CARNAGENEWS.COM, Intervista a William Friedkin di Michele Galardini Lucca Film Festival, Aprile 2016
– D REPUBBLICA On-line, Take Refuge, Marzo 2016
– LA NAZIONE, Take Refuge, Febbraio 2016
–DISCOVER PISTOIA, Take Refuge, Febbraio 2016
– POSI+TIVE MAGAZINE, Take Refuge, Giugno 2015
Potete trovare i lavori fotografici di Simone Margelli sul sito ufficiale:
Simone Margelli
[email protected]
+393335828539
Immagini dell’articolo © 2015 Simone Margelli