Una Montagna di Parole  |  aprile 20, 2016

Alla riscoperta delle parole, in nome della nostra identità

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Le impronte che popoli e civiltà lasciano del proprio passaggio sono di varia natura e ce ne offrono ampia testimonianza l’archeologia, la letteratura, la storiografia, le arti figurative ecc. Ma vi è anche un altro “ libro “ su cui sta scritto il passato di ogni comunità, piccola o grande che sia, e questo libro è il lessico, cioè quell’insieme di parole, espressioni e modi di dire che permettono agli individui di comunicare tra loro e di capirsi . Scavando nel “terreno” lessicale è possibile riportare alla luce frammenti di storia e reperti di cultura che il tempo aveva sepolto e di cui non si sospettava nemmeno l’esistenza.

Così è anche per la nostra montagna che ha conservato una lingua bella, varia e colorita, retaggio di un passato lontano o recente e comunque degno di essere conosciuto e riscoperto, in nome dell’insopprimibile bisogno di identità che rende una vita più piena e più serena. Questo è il senso della presente rubrica che conterrà, di volta in volta, brevi storie di parole e locuzioni, a tratti curiose, a tratti amare ma sempre “vere”, ancora vive nel panorama lessicale delle nostre comunità oppure presenti solo nel ricordo dei più anziani.

 

 

A baderlo

Una delle occupazioni principali dei nostri nonni era quella di badare agli animali, siano stati essi capre, pecore, vacche ecc che occupava molte ore delle loro giornate. Per questo non sopportavano chi passava il tempo “a baderlo”, cioè “ a vagabondare”, “a girare senza far nulla” , “a ficcanasare qua e là senza scopo alcuno”.

Eppure queste due parole (badare e baderlo) sono fortemente imparentate tra loro. Il verbo “badare” deriva dal tardo latino batare . In origine era onomatopeico, rifletteva cioè il suono naturale emesso dalle labbra da parte di chi sbadigliava o di chi guardava estasiato o meravigliato qualcosa e ne restava a bocca aperta. E’ l’atteggiamento tipico dei bambini che si incantano di fronte ad uno spettacolo che cattura tutti i loro sensi.
Poi il verbo “badare” si è arricchito di altri significati: ad “osservare con attenzione” si è aggiunto quello di “indugiare osservando” e quindi “perdere tempo”. Nel 1500 “bada” voleva infatti dire “indugio”, da cui l’espressione “tener a bada” che significava “trattenere o sorvegliare qualcuno o qualcosa”. Da “bada” è poi derivata la parola “baderella” (perditempo) e da lì il verbo “baderlare” (perder tempo), usato soprattutto nei dialetti settentrionali .
Nel nostro Appennino si è diffuso l’aggettivo “baderlo”: era definito “baderlo”, l’uomo sciocco , il gingillone, il nullafacente. Da qui è nata la locuzione “a baderlo”, usata fino a pochi decenni orsono nei dialetti della Val di Lima e nel versante modenese.


Maurizio Ferrari

Maurizio Ferrari, sambucano di origine, ha insegnato Lettere per 38 anni nelle Scuole superiori pistoiesi. Ora è imprenditore agricolo e si sta impegnando nella promozione e nel rilancio del territorio appenninico come Presidente dell'Associazione "Amo la montagna APS" che si è costituita nel 2013 e che ha sede a Castello di Cireglio.Ha collaborato per 25 anni alla rivista "Vita in Campagna", del gruppo "Informatore Agrario". Recentemente ha pubblicato alcune raccolte di racconti ispirati alla vita quotidiana di Sambuca, dal titolo :"Dieci racconti sambucani"; "La mia Sambuga" e "Cuori d'ommeni e di animali", nonché una favola per bambini, "La magìa della valle dimenticata" illustrata dagli alunni della scuola elementare "P.Petrocchi " di CIreglio (Pistoia)